venerdì 5 agosto 2016

SOCIALISMO


In questo post riporto alcuni scritti di Ludwig Von Mises sul socialismo e della sua impraticabilità. Questi scritti risalgono al scorso secolo e sono più che mai di attualità.
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L'impraticabilità del socialismo è la conseguenza di ragioni di ordine intellettuale e non morale. Il socialismo non può raggiun­gere il suo scopo perché in una società socialista il calcolo econo­mico è impossibile. Perfino gli angeli, se fossero dotati solo di ra­gione umana, non sarebbero capaci di instaurare una comunità socialista [S, 498]. 

Il socialismo non è fallito per resistenze ideologiche, perché anzi l'ideologia dominante è ancora oggi quella socialista. È fallito perché irrealizzabile. Ogni passo che ci allontana dal sistema so­ciale della proprietà privata dei mezzi di produzione riduce la produttività e quindi provoca miseria e indigenza [FSI, 150]. 
 
Il socialismo porterà il caos totale proprio se esso verrà appli­cato nella più gran parte del mondo [S, 641]. 





La bancarotta intellettuale della dottrina socialista non può più venire nascosta. Nonostante la sua popolarità senza preceden­ti, il socialismo è spacciato. Nessun economista può ancora mette­re in discussione la sua impraticabilità. L'accettazione delle idee socialiste è oggi la prova di una totale ignoranza dei problemi fon­damentali dell'economia. Le pretese dei socialisti sono tanto vane quanto quelle degli astrologi e dei maghi [S, 641]. 
Il socialismo è l'abolizione dell'economia razionale [S, 150]. 

Il socialismo non è quel che pretende di essere. Non è la scelta avanzata di un mondo migliore e più bello, ma il distruttore di quel che migliaia di anni di civiltà hanno creato. Esso, non co­struisce; distrugge. La distruzione è effettivamente la sua essenza. 



Non produce nulla, ma consuma soltanto quel che l'ordine socia­le basato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione ha crea­to. Poiché un ordine socialista della società non può esistere se non come frammento di socialismo all'interno di un ordine che per il resto si fonda sulla proprietà privata, ogni passo verso il so­cialismo non può consistere che nella distruzione di quel che già c'è [S, 504]. 

È vero che per molti, forse per la maggior parte del suoi segua­ci, il socialismo è oggi un articolo di fede. Ma la critica scientifica non ha compito più nobile di quello dí frantumare le false cre­denze.
Per proteggere l'ideale socialista dagli effetti devastanti di tale critica, sono stati fatti di recente alcuni tentativi per migliorare la definizione comune del concetto di "socialismo". La mia definizio­ne di socialismo, quale politica rivolta alla realizzazione di una so­cietà nella quale i mezzi di produzione siano socializzati, è in ac­cordo con tutto ciò che gli scienziati hanno scritto sul tema. Affer­mo quindi che occorre essere storicamente ciechi per non accor­gersi che negli ultimi cento anni il socialismo ha rappresentato so­lamente questo, e nient'altro; e che è in questo senso che il grande movimento socialista è stato ed è socialista. Non è tuttavia il caso di litigare sulla definizione! Se a qualcuno piace chiamare sociali­sta un ideale che conserva la proprietà privata dei mezzi di produ­zione, libero di farlo! Un uomo è libero di chiamare cane un gatto e sole la luna, se gli fa piacere. Bisogna però dire che il capovolgi­mento della terminologia abitualmente usata, che tutti capiscono, non porta alcun vantaggio e crea solamente malintesi [S, 37].


Non è vero che le masse chiedono appassionatamente il socia­lismo e che non esistono mezzi per resistere a esse. Le masse ap­poggiano il socialismo perché si fidano della propaganda sociali­sta degli intellettuali. Gli intellettuali, non il popolino modellano l'opinione pubblica. È una giustificazione che non regge quella degli intellettuali secondo cui essi devono cedere alle masse. Loro stessi hanno generato le idee socialiste e hanno con esse indottri­nato le masse. Nessun proletario o figlio di proletari ha contribuito all'elaborazione dei programmi interventisti e socialisti. I loro autori furono tutti di estrazione borghese. Gli esoterici scritti del materialismo dialettico, di Hegel, il padre sia del marxismo che dell'aggressivo nazionalismo tedesco, i libri di Georges Sorel, di Gentile e di Spengler non vennero letti dall'uomo medio; essi non influenzarono direttamente le masse. Furono gli intellettuali che li divulgarono. I leader intellettuali dei popoli hanno prodotto e diffuso gli er­rori che sono sul punto di distruggere la libertà e la civiltà occi­dentale. Unicamente gli intellettuali sono responsabili dei massa­cri in massa che sono il tratto caratteristico del nostro secolo. Solo loro possono invertire la tendenza e aprire la strada a una risurre­zione della libertà.  Non le mitiche "forze materiali produttive", ma la ragione e le idee determinano il corso delle vicende umane. Senso comune e coraggio morale sono ciò che è necessario per fermare la tendenza verso il socialismo e il dispotismo [S, 646-647].



La gente non vuole il socialismo perché sa che migliorerà la propria condizione, e non rifiuta il capitalismo perché sa che è un sistema pregiudizievole ai propri interessi. Gli uomini sono socia­listi perché credono che il socialismo migliorerà le loro condizioni, e odiano il capitalismo perché credono che li danneggi. Sono so­cialisti perché sono acciecati dall'invidia e dall'ignoranza. Essi te­stardamente si rifiutano di studiare economia, e respingono la de­vastante critica che gli economisti rivolgono ai piani socialisti, in quanto ai loro occhi l'economia, essendo una teoria astratta, ap­pare come una semplice assurdità [MA, 53].

Quali che siano le nostre vedute sulla sua utilità o sulla sua praticabilità, si deve ammettere che l'idea del socialismo è a un tempo grandiosa e semplice. Anche i suoi oppositori più decisi non saranno in grado di negarlo a un esame accurato. Possiamo dire, infatti, che è una delle creazioni più ambiziose dello spirito umano. Il tentativo di erigere la società su una nuova base mentre si rompe con tutte le forme tradizionali di organizzazione sociale il tentativo di concepire un nuovo plano mondiale e di prevederela forma che tutti gli affari umani dovranno assumere nel futuro—questo è così magnifico, così ardito, che ha giustamente sollevato la più grande ammirazione. Se desideriamo salvare íl mondo dalla barbarie dobbiamo vincere il socialismo, ma non possiamo met­terlo da parte senza prestarvi attenzione [S, 72].

I sostenitori del socialismo si autodefiniscono progressisti, ma essi esaltano un sistema che è caratterizzato dalla rigida osservan­za della routine e dalla resistenza a qualsiasi genere di migliora­mento. Essi si dichiarano per la libertà, ma si propongono di sop­primere la libertà. Dicono di essere democratici, ma aspirano alla dittatura. Si professano rivoluzionari, ma vogliono instaurare uno Stato onnipotente. Promettono la felicità del giardino dell'Eden, ma progettano di trasformare il mondo in un gigantesco ufficio postale [B, 156].
  Bibliografia:
S: "Socialismo"  Rusconi 1990
FSI: "I fallimenti dello stato interventista"  Rubettino 1997
MA: "La mentalità anticapitalistica" Armando 1987
B: " Burocrazia" Rusconi 1991
 

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