Come
può funzionare il sistema che sta alla base del reddito di cittadinanza? In
particolare, come sarà possibile offrire opportunità di lavoro ai sussidiati,
se il lavoro manca.
Ecco
la nuova proposta dei pentastellati: lavorare meno, liberare posti di lavoro e provvedere
a nuove assunzioni utilizzando il reddito di cittadinanza.
Alla
base di tutto questo sistema perverso c’è la convinzione da parte dei nostri politici,
che nel mondo esista solo una determinata quantità di lavoro e che, non potendo
crescere grazie a modi più nobili di lavorare, dovremmo almeno predisporre
alcuni piani per ripartirla fra il maggior numero di persone.
Ma
chi sostiene questa perverso sistema (reddito di cittadinanza, salario minimo e
riduzione dell’orario di lavoro) aggrava sempre i costi di produzione e conduce
invariabilmente a una diminuzione del rendimento del lavoro e della stessa produzione.
Sicuramente
tutto ciò porterà inoltre ad una inclusione di una nuova tassa sulle ore
supplementari di lavoro (già sperimentata in altri stati).
Per
rendere più chiaro il problema, consideriamo due casi.
Primo caso: il lavoro settimanale è
ridotto da 40 a 30 ore, senza modificazione della paga oraria.
Secondo caso: il lavoro è ridotto da 40 a
30 ore, ma la paga oraria viene aumentata in modo che la retribuzione
settimanale rimanga invariata.
Esaminiamo
il primo caso.
Se
esiste una reale disoccupazione, l'attuazione di questo piano la farà
certamente diminuire perché esso esige una manodopera supplementare. Dubito invece
che procuri altrettanto lavoro supplementare; è probabile che il totale
complessivo dei salari e del numero delle ore di lavoro rimangano invariati (a
meno che si faccia l'improbabile ipotesi che in ciascun settore produttivo si
presenti proprio il numero di disoccupati corrispondente alle necessità e che i
nuovi operai abbiano la stessa capacità di lavoro di quelli già impiegati). Ma facciamo
anche questa ipotesi. Supponiamo che si possa trovare il numero esatto di
operai per colmare in ogni settore i vuoti e che i nuovi operai non facciano
aumentare il costo di produzione. Quale sarà allora la conseguenza della
riduzione del lavoro settimanale da 40 a 30 ore; senza aumento della paga
oraria?
Per
quanto si sia aumentato il numero degli operai, ciascuno di loro lavorerà per
un tempo minore; non aumenterà dunque la somma totale delle ore di lavoro delle
maestranze, né - di conseguenza - la produzione: salari e potere di acquisto
non cresceranno. Potrà invece accadere, nell'ipotesi più favorevole che gli
operai precedentemente occupati debbano contribuire a mantenere i nuovi venuti.
Infatti, perché i nuovi operai riescano a guadagnare la paga settimanale dei vecchi operai, bisogna che questi ultimi ricevano soltanto i tre quarti di quel che guadagnavano prima. E’ vero che lavorano meno, ma questa conquista di tempo libero, ottenuta a cosi caro prezzo, non l'avrebbero certo voluta spontaneamente. La politica ed i sindacati di solito riconoscono questo limite.
Infatti, perché i nuovi operai riescano a guadagnare la paga settimanale dei vecchi operai, bisogna che questi ultimi ricevano soltanto i tre quarti di quel che guadagnavano prima. E’ vero che lavorano meno, ma questa conquista di tempo libero, ottenuta a cosi caro prezzo, non l'avrebbero certo voluta spontaneamente. La politica ed i sindacati di solito riconoscono questo limite.
Allora
propongono una riforma tale che ciascuno possa "mangiare e conservare la torta
contemporaneamente". Riducete la settimana di lavoro da 40 a 30
ore - dicono -per creare maggiore occupazione, ma compensate la perdita di
lavoro settimanale, aumentando la paga oraria del 33,3 per cento. Supponiamo
che gli operai già occupati guadagnassero in media 400 euro la settimana di 40
ore. Perché con la settimana di 30 ore possano continuare a guadagnare 400 euro,
è necessario che la paga oraria sia aumentata di 3,33 euro circa.
Quali
saranno le conseguenze? La prima e la più evidente - è che aumenteranno i costi
di produzione. Se supponiamo che questi operai, quando lavoravano 40 ore, fossero
pagati meno di quanto avrebbero consentito i costi di produzione, i prezzi e i
profitti, si sarebbero potuti aumentare i salari senza ridurre
le ore di lavoro settimanali. Gli operai avrebbero potuto, cioè lavorare lo stesso numero di ore e guadagnare un terzo di più invece di guadagnar come prima, con una settimana di 30 ore.
Ma se con la settimana di 40 ore gli operai ricevevano già il più alto salario consentito dai costi di produzione e dai prezzi, allora l'aumento del costo di produzione, derivante da quello del 33 per cento della paga oraria, supera di molto quel limite. Il risultato dell'aumento dei salari sarà un aumento della disoccupazione. Le imprese meno solide falliranno e gli operai meno efficienti si troveranno senza lavoro. La produzione andrà via via decrescendo. Con il salire dei costi di produzione le merci andranno rarefacendosi e i prezzi tenderanno a salire mentre gli operai vedranno diminuire il loro potere d'acquisto.
Da quel momento l'aumento della disoccupazione determinerà una contrazione della domanda e di conseguenza i prezzi avranno la tendenza a scendere.
le ore di lavoro settimanali. Gli operai avrebbero potuto, cioè lavorare lo stesso numero di ore e guadagnare un terzo di più invece di guadagnar come prima, con una settimana di 30 ore.
Ma se con la settimana di 40 ore gli operai ricevevano già il più alto salario consentito dai costi di produzione e dai prezzi, allora l'aumento del costo di produzione, derivante da quello del 33 per cento della paga oraria, supera di molto quel limite. Il risultato dell'aumento dei salari sarà un aumento della disoccupazione. Le imprese meno solide falliranno e gli operai meno efficienti si troveranno senza lavoro. La produzione andrà via via decrescendo. Con il salire dei costi di produzione le merci andranno rarefacendosi e i prezzi tenderanno a salire mentre gli operai vedranno diminuire il loro potere d'acquisto.
Da quel momento l'aumento della disoccupazione determinerà una contrazione della domanda e di conseguenza i prezzi avranno la tendenza a scendere.
Quel
che alla fine accadrà dei prezzi dipenderà dalla politica monetaria dello
Stato.
Se
per consentire un aumento dei prezzi necessario al pagamento di più alti salari
- sarà seguita una politica di inflazione (reddito di cittadinanza), questo
sarà, in realtà, un modo mascherato per ridurre il salario: il potere
d'acquisto tornerà ad essere quel che era prima. E si giungerà allo stesso
risultato che se si fosse ridotta la settimana lavorativa, ma senza alcun
aumento di salario!
Questo
sistema si fonda, dunque, sugli stessi tipi di errori che si sono commessi
negli anni passati. Chi lo propugna pensa solo al lavoro che si potrà procurare
a questo o quel gruppo di lavoratori, ma non pensa alle conseguenze sull'intera
popolazione.
Il
sistema si fonda anche sull'errata ipotesi che esista solo una quantità
limitata di lavoro da distribuire, ma le cose non stanno così. La quantità di
lavoro da distribuire non ha limiti, finché rimangono ancora insoddisfatti
taluni bisogni e desideri che il lavoro può soddisfare. In una moderna economia
di scambio si potrà ottenere la massima diffusione del lavoro soltanto quando i
prezzi di vendita, i costi di produzione e i salari saranno fra loro in un
rapporto armonico.
Da
libertario posso solo dire che la riduzione di un eventuale orario di lavoro potrà
trovare applicazione solamente attraverso una scelta tra azienda e lavoratori o
loro sindacati (vedi esempio l’azienda Lamborghini); ma non imposta dall'alto.
Fonte: L'economia di una lezione. Capire i fondamenti della scienza economica Di Henry Hazlitt
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